
Sostieni il Teatro, le donazioni sono detraibili!
Il teatro è vita
Un tentativo di rieducazione al bello, per riconoscerlo e per difenderlo. Riappropriandoci della memoria facendone storia per viverla, senza paura di esporsi, nella realtà.
Prossimi Spettacoli
Di seguito puoi trovare il calendario e tutte le informazione sui nostri prossimi spettacoli
IL MIO LUCA
Il mito di Gianluca Vialli raccontato a mio figlio
Monologo di Andrea Carlini
Testo di Christian Poli
Regia di Simone Repetto
Musiche di Aldo De Scalzi
Voce di Armanda De Scalzi
Scenografie di Valentina Albino
Assistente di palco Nicole Galante
Assistente alla regia Cary Jane Tutti
Durata dello spettacolo: 75 minuti
Sinossi
Una sala d’aspetto in una maternità, un uomo che sta per diventare padre, una luce bianca che acceca.
È così che comincia Il mio Luca ed è qui che Andrea, pieno di tensione e impotenza, decide di raccontare al figlio che arriva le gesta del suo eroe, quel ragazzo diventato uomo che è stato il mito di tanti, nella Genova di un tempo che si allontana sempre più.
Così, la storia di Gianluca Vialli da Cremona scorre sul palco, dagli esordi su campi spelacchiati fino al doloroso epilogo a Londra, con tutto il suo carico di emozione, avventura e simpatia. Soprattutto, scorrono gli anni e i gol della magica stagione sampdoriana, quando un manipolo di ragazzi diede un impossibile assalto al cielo.
Ma raccontare al figlio la storia del grande Luca è anche un modo per raccontare sé stesso, per spiegare a un futuro ragazzo che anche oggi, in questa modernità che a volte pare scolpita nella plastica, abbiamo un bisogno disperato di eroi. La storia del piccolo Andrea si intreccia così a quella del giovane Luca, in un rimando continuo che porta i due a confrontarsi con le gioie e le asprezze della vita, mentre il mondo intorno a loro cambia e giunge fino a noi.
Fino all’oggi, fino a quella sala d’aspetto dove un uomo ora è un padre e consegna al figlio il nome che lo accompagnerà per sempre. In quella scelta, misteriosa e inusuale, c’è tutto il senso del mito come modello da seguire, per poi staccarsene, tenerlo nel cuore e diventare, semplicemente, sé stessi.
Vurrìa
di Matteo Lombardo
Con: Diletta Vittoria Ceravolo, Mara Scarcella, Federica Sorace
Vincitore premio NAZIONALE DI PRODUZIONE SCARAMOUCHE 2024
Vincitore Premio Giovani Realtà del Teatro – Nico Pepe di Udine (giuria docenti)
Può la musica rendere liberi?
“Vurrìa” nasce dall’esigenza di raccontare lo stato d’animo di una donna che cerca disperatamente, attraverso la musica, una via di fuga da cui vedere il mondo come un luogo migliore, o forse, solo un mare dove affondare la propria sofferenza, un nascondiglio da cui provare a proteggere chi si ama. La consapevolezza di chi si annulla, la forza e la debolezza di chi ovatta la propria esistenza cambiando disco, senza però spegnere la musica, che rimane comunque l’unica strada verso la libertà…
Può la musica rendere liberi? Se balli, balli, balli, e continui a ballare, forse troverai la tua anima…
Vurrìa si sviluppa attraverso la contaminazione e la sperimentazione di diversi linguaggi scenici. Le protagoniste e il coro si intersecano, si mischiano fino a scambiarsi i ruoli. Il coro diventa testimone di un mondo terrorizzato, in cui gli individui si ingabbiano nella solitudine. Allo stesso modo le protagoniste cercano disperatamente di comunicare con questo mondo, diventando inevitabilmente parte di esso. Vurrìa interseca il teatro d’attore e la classicità del coro greco, fino a fonderli.
Potrebbe essere riduttivo definire Vurrìa uno spettacolo che parla di violenza sulle donne, soprattutto tenendo in considerazione il solo aspetto fisico della questione.
Oggi del tema si parla molto, spesso considerando i risvolti commemorativi, che sfociano in colori e comizi politici ma anche in simbolismi (panchine e scarpe rosse) spesso sterili, che comunque non entrano nelle politiche sociali per un cambiamento che parta dall’educazione e dalla pedagogia infantile.
La violenza non è solo fisica, ecco perchè la ricerca artistica del progetto Vurrìa prova a rappresentare l’abbandono della società e la sua violenza diretta ma anche indiretta, l’omertà, la paura, la ricerca di soluzioni palliative che escano dal momentaneo senza però considerare il futuro.
Si fonda su tre livelli, costantementE influenzati l’uno dall’altro attraverso la coralità degli elementi: le mura domestiche, il cervello umano, il mondo esterno. Il presente, il passato, il futuro, si mischiano, si confondono.
Vurrìa è una gabbia, in cui Maria, la protagonista, cerca di recuperare ciò che non ha mai avuto, la possibilità di diventare bambina, per la prima volta.
PER UN RAPERONZOLO
Ispirato alla fiaba dei Fratelli Grimm.
Di Francesca Giacardi, Maria Teresa Giachetta e Antonio Tancredi.
Drammaturgia e regia di Antonio Tancredi.
Con Francesca Giacardi e Maria Teresa Giachetta.
Scene e costumi di Valentina Albino.
Assistente scene e costumi Silvia Guidetti.
Tecnico di scena Nicola Calcagno
Una produzione di Cattivi Maestri Teatro.
PRESENTAZIONE
‘Per un Raperonzolo’ ha debuttato nell’ottobre del 2024 distinguendosi come una delle produzioni della compagnia, dedicate all’infanzia, più coinvolgenti, capace di parlare all’infanzia come ad un pubblico adulto. E’ uno spettacolo che offre una rilettura originale della celebre fiaba dei fratelli Grimm, mettendo in luce dettagli, particolari, sfumature di una storia profonda e unica che da secoli incanta generazioni di lettori.
Protagoniste sono due cuoche che tra ortaggi e mestoli, ricostruiscono la storia di Raperonzolo con parole, gesti e oggetti. La messa in scena utilizza un linguaggio visivo e narrativo fresco e avvincente, adatto ad un pubblico di tutte le età. La storia di Raperonzolo, dietro uno schema semplice e comune a tante fiabe che hanno come obiettivo ultimo di nutrire la speranza e la resilienza di chi le ascolta e curarne le ferite, racconta le difficoltà del percorso di crescita personale e delle sue tappe evolutive in cui sono messi in gioco la libertà e la formazione della propria identità.
La protagonista della nostra storia, Raperonzolo, si ritrova ad essere prigioniera a sua insaputa, a dover accettare una formazione che informa e che non libera. Eppure troverà la forza per proseguire nel proprio cammino, diventando così una specie di simbolo di resilienza e resistenza, non abbandonando mai, anche nei momenti più oscuri, quella speranza, che non è accettazione di un’oscura provvidenza, ma l’essenza stessa della vita.
SINOSSI
A raccontare la storia di Raperonzolo sono due cuoche che stanno preparando una torta. Sul banco della piccola cucina vengono portati tutti gli ingredienti. È tutto pronto quando il desiderio di un caffè, interrompe la preparazione. Ma il lavoro incalza, non ci si può fermare e desiderare, avere voglia di qualcos’altro può essere fonte di guai, come per quei due contadini che per la voglia di raperonzoli persero una figlia.
Ma non si può richiamare una storia senza raccontarla tutta. E così, tra un caffè e la preparazione della torta, (di cui il pubblico potrà apprezzare anche i profumi,) le due cuoche non smettono di raccontare e interrogarsi su quella storia così strana che ha inizio con un desiderio, quello di avere un figlio, e una voglia, quella di raperonzoli cresciuti nell’orto di una fata.
Le due cuoche raccontano e fanno vivere la fiaba di Raperonzolo utilizzando ortaggi, mestoli, cucchiai, ciò che trovano sul bancone. Sono partecipi della sorte dei protagonisti fino a intervenire prendendo parte ad una storia che parla anche di loro e di noi tutti. Una storia, una fiaba, che ci ricorda come, anche nei momenti più bui, non bisogna dimenticare la speranza di un lieto fine. La vita avrà i suoi dolori, le sue ferite, i suoi abbandoni, ma vale sempre la pena di essere vissuta, fino in fondo.
NOTE DI REGIA
“Le fiabe spesso sono cruente, crudeli e la storia di Raperonzolo non fa eccezione.
Raperonzolo viene presa da una fata dopo la nascita, portata via dai genitori, rinchiusa in una torre, allontanata dal principe di cui si innamora e abbandonata in un deserto. Decisamente una vita poco augurabile. Ma allora perché raccontarla?
Alla fine della storia Raperonzolo incontrerà il suo principe e con lui e i suoi due figli nati dall’amore vivranno felici e contento, come vuole il finale di ogni fiaba.
Si possono raccontare disastri e sfortune, le vicende più raccapriccianti, ma non si può non avere un lieto fine. Questo è necessario come il pane. La speranza nutre e come il pane non è mai abbastanza. Sarà lei a tenerci su, a non farci demordere nei momenti bui.
La nostra fiaba non inizia con un inciampo, anzi inizia con una nascita, quella di una figlia tanto desiderata. Ma a rompere quell’incantesimo arriva la fata che implacabilmente richiede quella vita, sottraendola a chi ha contribuito a portarla fuori.
La fata è il non calcolato, l’imprevisto e la vita stessa che afferma come ciò che riteniamo nostro in realtà non ci appartiene. La fata è forse il fato stesso, che bussa alla porta quando meno uno se lo aspetta.
Quanti rimandi in queste fiabe ad un sapere secolare. Come non scorgere nella richiesta della fata quella che fece un Dio ad Abramo quando gli chiese di sacrificare il suo primogenito.
Ma la fiaba ci suggerisce ancora qualcos’altro, una legge universale: i figli non appartengono ai genitori, e forse neanche alle divinità, ma alla vita.
I figli sono della vita e questa ha un solo imperativo: vivere pienamente.
Nella nostra messinscena, la fiaba di Raperonzolo si intreccia a quella delle due cuoche che raccontano la storia di Raperonzolo. In loro, nei loro sguardi, parole, silenzi riverbera quella
tensione presente nel percorso di una crescita personale e che entrambe rivivono attraverso il racconto: restare, non uscire dal proprio mondo conosciuto, o mettersi in viaggio per vedere altre colline, paesaggi e orizzonti. Ma viaggiare, come vivere, comporterà anche affrontare imprevisti, dolori e gioie.
E come ci racconta Raperonzolo, solo alla fine potremmo sapere se ne è valsa la pena.”
(Antonio Tancredi).
DURATA: 55 minuti circa
ETA’: dai 5 anni – per la scuola Primaria
LINGUAGGIO: teatro d’attore con uso di oggetti (ortaggi)
SIGNORA DENTRO
Dedicato a Luciana Costantino
DI E CON SIMONETTA GUARINO
Si dice che il comico è il tragico visto di spalle. Bene, ma cosa provoca questa giravolta? Come nascono i “ personaggi comici”? Da dove nascono? Quali memorie portano con loro? Cosa vogliono?
Forse il personaggio comico è come il passeggero un po’ matto che , salito su un treno che non sa dove vada e neppure quando si fermerà , non si ricorda neppure perché vi sia salito.
A volte personaggi comici viaggiano in prima classe , a volte in treni affollati e puzzolenti , a volte sono senza titolo di viaggio .
Alcuni scendono alla prima stazione , altri arrivano lontano in stazioni neppure immaginate.
E in questo viaggio i personaggi prendono posto con le loro valige di difetti , di ossessioni , di perle dii filosofia spicciola e chiacchierano , chiacchierano , chiacchierano. Ed ecco la Casalinga Impasticcata , la Manager-Uoma ,la Vecchia sul divano , la Dottoressa Della Psiche , la Ciciona in lotta che ci raccontano quando sono salite sul treno, chi ce le ha spinte e ,se non sono già scese, quali stazioni hanno visto.
Signora dentro è uno spettacolo assolutamente autoreferenziale fatto di memorie e di incursioni nella risata come cura e come destino.
E sposa una tesi tanto semplice quanto spietata: anche quando pensiamo di parlare di noi, di spalle o de visu , di essere il centro del mondo, non siamo altro che il riflesso delle aspirazioni e delle paure che vivono in ciascuno di noi .
Siamo le parole del Grande Racconto che scriviamo da quando ci siamo riuniti attorno ad un fuoco e ci siamo detti “ UNGA!”. Siamo lo scritto e lo scrittore,
E le parole al Grande Racconto non bastano mai.
In ‘Le Monellate di Shick e Shock’ due eccentrici clown e mimi con l’aiuto di una serie di sketch e gag trasportano il pubblico in un mondo surreale, dove ogni situazione diventa un’opportunità per il caos e la risata, creando momenti di gioia e divertimento per tutte le età. Tra cadute buffe, equivoci esilaranti, interazioni comiche e la capacità di comunicare suscitando emozioni attraverso il linguaggio del corpo, ‘Le Monellate di Shick e Shock’ vuole anche essere un omaggio alle comiche mute e ai cartoni animati del passato, per conquistare il cuore del pubblico contemporaneo con la sua energia contagiosa e il suo fascino senza tempo-
Testo e regia Lazzaro Calcagno
Coreografie mimiche Giovannino Romagnoli
Con Sara Damonte e Matilde Delfino
"Nasce un movimento culturale, una Quarta Parete che si fa patrimonio di tutti,
attraverso un sipario strappato."
Amministrazione Trasparente
Dichiarazione ai sensi dell'Art. 1 della legge n. 124/2017








